Che cos'è
Il tendine di Achille è il tendine più grosso e più robusto del corpo umano.
Nasce dalla formazione di tre muscoli della gamba, i due gemelli e il soleo, e consente al piede di spingere verso l’avanti e verso l’alto. È dunque fondamentale nel cammino, nella corsa, nel salto, in tutti gli sport.
Purtroppo, il tendine di Achille, così forte e robusto, ha un suo punto di debolezza nelle capacità riparative che sono scarse, sia per le sue caratteristiche anatomiche (non ha un foglietto protettivo) che per lo scarso apporto vascolare.
Ecco perché, quando il tendine va incontro a patologie da sovraccarico, tende a infiammarsi senza capacità di guarire, diventando così un problema cronico assai grave e limitativo, specie negli sportivi.
INQUADRAMENTO DELLA PATOLOGIA DEL TENDINE DI ACHILLE
1.Tendinopatie croniche preinserzionali: sono caratterizzate da ispessimento fusiforme del tendine, con aspetti degenerativi intratendini e aree di microinterruzioni accanto ad altre di pseudoingrossamento. La palpazione del tendine è dolorosa o molto dolorosa, e il paziente si sente limitato anche nelle attività normali non sportive e talora zoppica vistosamente. Questa condizione si chiama tendinosi achillea cronica e predispone alla rottura sottocutanea del tendine.
2.Tendinopatie croniche inserzionali: sono caratterizzate da dolore e ringonfiamento (a bozzo sporgente) a livello della parte posteriore del tallone. In queste condizioni il tendine viene danneggiato da formazione di speroni ossei taglienti, cui si associa una condizione flogistica cronica dei tessuti pretendinei (triangolo di Kager) che retrotendinei (borsite retrocalcaneale cronica). Questa condizione è conosciuta come malattia di Haglund del tendine di Achille.
3.Rottura sottocutanea acuta del tendine di Achille: quando il tendine improvvisamente si rompe nella sua zona debole (perché meno vascolarizzata) a 3-5 cm dalla sua inserzione. È un evento drammatico, che avviene all’improvviso e senza avvisaglie, in genere durante l’attività sportiva, come calcio, tennis, basket. I più colpiti sono gli atleti di mezza età, i cosiddetti week-end warriors, che fanno sport ancora a buon livello, ma senza allenamento professionale. Si avverte uno schiocco o una sensazione di “calcio di mulo” a livello del tendine, e molte volte si crolla a terra. Il piede ciondola senza comando e non si riesce a camminare. Poiché in teoria un tendine sano non dovrebbe mai rompersi da solo, questa condizione è riconosciuta dalle Assicurazioni come malattia, e non infortunio.
Esistono anche le rotture sottocutanee croniche del tendine di Achille, quando la rottura sia misconosciuta per lungo tempo o in soggetti che abbiano una patologia primaria che indebolisce il tendine (ad esempio l’assunzione di cortisonici o di farmaci che possono danneggiare il tendine come l’ofloxacina/ciprofloxacina). In questi casi la diagnosi è più difficile perché si tratta di capire quale sia la qualità del tessuto tendineo residuo, ai fini di una riparazione e quanto estesa sia l’area di sofferenza/interruzione tendinea.
4.Brevità del tendine di Achille, o meglio del sistema achilleo plantare: in questa condizione il piede tende a restare sempre un po’ equino (cioè in punta di piedi), e non raggiunge i 90° nemmeno forzandolo.
Soffrono di questa condizione i pazienti con malattia neurologica, esempio ipertono da spasticità, e in questi casi il quadro è molto evidente. Anche negli esiti di emiparesi per danno centrale si può notare tale condizione. Un’altra condizione in cui il tendine di Achille è retratto, a causa dell’anomalo bilanciamento fra agonisti/antagonisti, è nelle paralisi del nervo sciatico-popliteo-esterno (SPE), in soggetti cioè con piede ciondolante, per esiti di interventi di ernia discale, esiti di fratture del bacino, di lesione della gamba o del ginocchio (frattura del capitello fibulare).
Esistono poi dei casi sfumati, specie nei bambini con piede piatto, in cui il soggetto cammina sempre in punta dei piedi (marcia digitigrada) come dovesse “corricchiare”. Questi casi vanno sempre approfonditi in collaborazione con neurologo infantile competente in neuromotricità. Spesso questi bambini migliorano da soli con la crescita, anche se in rari casi è necessario allungare chirurgicamente il tendine di Achille.
Un’altra categoria di soggetti con tendine di Achille retratto è rappresentata dal piede cavo a componente neurologica, come negli esiti di poliomielite anteriore acuta e in caso di malattia di Charcot-Marie-Tooth (neuromiopatia ereditaria).
Infine, vi sono molte deformità o patologie croniche (ad esempio piede piatto dell’adulto, artrosi di caviglia, postumi traumatici in genere) in cui il tendine di Achille si accorcia per compenso funzionale vicariante e deve essere allungato in corso di intervento correttivo per la deformità principale.
Fra questi ricordiamo anche il piede diabetico a rischio ulcerativo, patologia in cui l’allungamento del tendine di Achille svolge un ruolo preventivo e curativo molto importante.
COME SI FA LA DIAGNOSI
Prima di tutto la diagnosi è clinica, mediante valutazione della storia del paziente (anamnesi) e poi mediante una visita accurata, eseguendo alcuni test specifici per il tendine di Achille (test di Thompson-test di Silfvferskiold).
La diagnosi viene integrata da uno studio ecografico del tendine di Achille, spesso completato da una risonanza magnetica.
Questi esami ci dicono molto sulle condizioni del tendine in termini di continuità tendinea, disomogeneità intratendinea, interruzioni parziali o totali.
Fondamentale eseguire anche una radiografia del retropiede per valutare eventuali speroni retrocalcaneali.
COME SI CURA
Per le tendinosi la cura è possibilmente non chirurgia, con terapia fisica (laserterapia e tecarterapia), onde d’urto ESWT radiali, esercizi specifici (stretching, esercizi eccentrici), sospensione dello sport praticato per tempi lunghi (anche sei mesi), poiché la ripresa del tendine è molto lenta.
Gli esercizi eccentrici sec. Dean creano un miglioramento qualitativo delle proprietà collagene del tendine e riducono la formazione di aderenze.
Vengono riferiti casi di miglioramento con infiltrazioni locali di gel piastrinico (PRP-gf) allo scopo di “rivitalizzare” il tendine o con la proloterapia (infiltrazione ecoguidate di glucosio) che, scollando il tendine dal peritenonio lo mobilizzano e lo rivitalizzano.
In rari casi, e solo quando la cura chirurgica non ha funzionato, si usa la scarificazione tendinea, intervento che comporta delle incisioni longitudinali del tendine e l’asportazione della parte malata, eseguendo al contempo una fasciotomia pretendinea, per consentire al tessuto muscolare più ventrale di venire a contatto col tendine e rivitalizzarlo.
Tali interventi comportano sempre un periodo di immobilizzazione abbastanza lungo, in genere con un tutore deambulatorio in plastica (Boot CamWalker) e hanno risultati non certi. L’indicazione chirurgica va dunque posta con estrema prudenza.
Per la malattia di Haglund il trattamento è inizialmente ortopedico, con adatte talloniere a guscio (Tuli’s), impacchi locali (cerotto Lenotac), terapia fisica (laser + tecar).
Quando però la sporgenza posteriore (combinazione di iperostosi, borsite e pseudo-ingrossamento tendineo) è notevole e il dolore impegnativo, si deve procedere a intervento chirurgico di distacco parziale del tendine, regolarizzazione della tuberosità calcaneale (che deve diventare rotonda e priva di asperità), tenolisi della parte distale del tendine, asportando il tessuto malato sia tendineo che pre-tendineo. Ciò si può fare con una incisione sia laterale che centrale, in relazione all’estensione della patologia.
Il tendine viene poi reinserito con ancoretta in titanio e riparato con una accurata sutura incrociata, tipo imbastitura (tecnicamente sutura tipo Mason-Keller, Bunnel o Krakow).
Non si deve credere a chi si vanta di far ciò in artroscopia o con tecnica mini-invasiva! Se non si distacca il tendine e si regolarizza il calcagno non si cura l’irregolarità ossea inserzionale e non si asporta il tessuto degenerato, elementi che sono la causa principale del dolore e dell’infiammazione cronica!
Per la rottura sottocutanea acuta del tendine di Achille la riparazione a mio avviso è sempre chirurgica, sempre che le condizioni del paziente lo consentano, e va eseguita il più presto possibile.
Del tutto inutili in questi casi ulteriori indagini ecografiche o di risonanza.
A un ortopedico esperto non sfugge il ciondolamento del piede dovuto alla interruzione tendinea, il tipo di infossamento del profilo tendineo, l’affondamento del dito a livello dell’interruzione tendinea, la positività del test di Thompson.
Il ricorso a un imaging radiologico avanzato (Eco/RMN) avanzato può invece essere utile in caso di rottura incompleta o dubbia, situazione in cui sui deve decidere fra trattamento ortopedico o conservativo, oppure chirurgico.
Oggi per la rottura sottocutanea acuta del tendine di Achille si esegue una riparazione percutanea mini open che prevede una piccola incisione centrale per esplorare l’entità e la gravità della lesione e un successivo aggancio con punti distanziati passati attraverso la cute.
Si tratta di una modifica della tecnica percutanea proposta molti anni fa da Ma e Griffith, col vantaggio che con questa tecnica si visualizza il tendine, lo si scolla dalle aderenze e si controlla direttamente la bontà del contatto termino-terminale a fine intervento.
Durante l’intervento si deve proteggere il nervo surale che, in questi tipi di intervento, è molto esposto a lesioni/intrappolamento.
A fine intervento si ripara minuziosamente il peritenonio, per evitare aderenze post-chirurgiche fra tendine e cute.
Dopo l’intervento si esegue uno stivaletto gessato in VTR in equinismo, oppure direttamente uno stivale in plastica con flessione del piede regolabile rispetto alla gamba e non si dà peso per circa 4 settimane.
Poi si può camminare, prima con stampelle e poi senza per circa un mese, riducendo progressivamente la plantarflessione del piede. Molto comodi in questo periodo per leggerezza e portabilità i tutori con interno pompabile ad aria, per massimo confort e sicurezza.
Nel terzo mese si completa la fisioterapia, in palestra, piscina e con bicicletta.
I risultati della riparazione delle rotture sottocutanee acute del tendine di Achille sono eccellenti, con restitutio ad integrum quasi completa della funzione tendinea e ripresa dello sport a pieno ritmo in oltre l’80% dei pazienti.
Esiste tuttavia il rischio di ri-rottura, specie nei due-tre mesi successivi alla riparazione (rischio segnalato in letteratura fino al 9%).
Ciò avviene sia in caso di tendine già troppo compromesso al momento dell’infortunio, che nel caso di affrontamento tendineo durante l’atto chirurgico non perfetto, oppure per mobilizzazione/fisioterapia troppo precoce e violenta.
Devo aggiungere a questo proposito che in caso di degenerazione tendinea molto estesa, specie in pazienti ad alte richieste funzionali, la riparazione semipercutanea (mini-open) non è indicata. In questi casi si deve non solo riparare, ma anche rinforzare il tendine con un intervento aperto e un ribaltamento mio-tendineo (intervento descritto in Italia da Bonola e Scaglietti, conosciuto anche come tecnica di Lindsholm-Silvferskjold)) oppure con un rinforzo con fascia lata.
Nelle rotture sottocutanee croniche il problema è invece che il tendine va riparato termino-terminalmente, ma va anche aggiunto un tessuto di rinforzo, detto scaffold.
Per questo uso il tendine del flessore lungo dell’alluce, che è adiacente al tendine di Achille o, nei casi di degenerazione marcata ed estesa, un sostituto sintetico in polipropilene, detto LARS.
Si tratta di interventi complessi, tecnicamente difficili, con alto rischio di complicanze (trombosi, infezioni, cedimento della cute, ecc.) che tuttavia, se ben eseguiti, portano a risultati funzionalmente ottimi.
Nella mia casistica di 12 pazienti operati non ho per fortuna avuto complicanze, tutti i pazienti hanno ben recuperato e sono tornati a vita normale e sport a basso rischio per il tendine.
Per il tendine di Achille breve o retratto non ci sono problemi tecnici in corso di interventi per altra patologia. Si esegue un allungamento percutaneo con tre microscopiche incisioni che permettono al tendine di scivolare su se stesso, allungandosi (tecnica mini-incisionale di Hatt e Hoke modificata).
Maggiore è il problema in caso di retrazione/brevità in pazienti neurologici o in bambini, in cui si preferisce un allungamento del complesso tricipitale alla giunzione miotendinea (recession) in genere con tecnica di Baker modificata.
Questa tipologia di intervento indebolisce molto meno la forza del tricipite e non altera la struttura tridimensionale a “cavo avvolto” delle fibre tendinee vere e proprie.
Questi allungamenti nei casi lievi coinvolgono solo il gemello mediale, nei casi più gravi tutta la struttura tendinea, in genere agendo sui gemelli e preservando il soleo.